Negli ultimi decenni, nello specifico negli ultimi 33 anni, i tassi di sovrappeso e obesità tra gli adulti in tutto il mondo sono aumentati del 27,5%, mentre quelli tra i bambini e gli adolescenti sono aumentati del 47,1%.
Tali percentuali sono in aumento soprattutto nel periodo post pandemico.
Ma rinveniamo alle cause: sicuramente di base c’è una bassa se non nulla educazione alimentare a partire dai banchi scolastici fino agli ambienti familiari.
Alcuni anni fa si credeva che un'elevata assunzione di grassi fosse uno dei principali fattori che contribuissero all’aumento di peso. Tuttavia, oggi è noto che la riduzione della quantità di grasso ingerito non comporta necessariamente una diminuzione della prevalenza dell'obesità, poiché tale misura è, nella maggior parte dei casi, associata ad un aumento del consumo di carboidrati, in particolar modo all'aumento del consumo di carboidrati complessi e raffinati.
Perché succede questo? L’assunzione di alimenti ad alto indice glicemico ha un minor potere di sazietà, in quanto il rapido assorbimento del glucosio dopo il consumo di pasti ad alto indice glicemico induce una sequenza di cambiamenti ormonali e metabolici che promuovono un'eccessiva assunzione di cibo, favorendo un aumento del peso corporeo. Inoltre, il consumo di tali alimenti può alterare il profilo lipidico (trigliceridi e colesterolo) e la produzione di insulina di un individuo, favorendo l'insorgenza di malattie cardiovascolari (infarto, ictus) e diabete mellito.
Questi cambiamenti ormonali, indotti dal consumo di alimenti ad alto indice glicemico, limita la disponibilità di “carburante” metabolico nel periodo post-prandiale (dopo i pasti), portando a fame ed assunzione eccessiva di cibo.
D'altra parte, l'assunzione di alimenti a basso indice glicemico diminuisce la secrezione di ormoni come il cortisolo (ormone dello stress), l'ormone della crescita e il glucagone, stimolando la sintesi proteica con conseguente aumento della percentuale di massa magra e diminuzione di quella grassa.
Va tenuto presente che l'indice glicemico degli alimenti può essere influenzato da una serie di fattori da tener bene a mente:
1. la motilità intestinale con la tipologia di transito intestinale (stipsi, alvo diarroico, meteorismo, aerofagia, gonfiore addominale);
2. la secrezione di insulina a partire dalle cellule del pancreas;
3. il rapporto tra i tipi di carboidrati (amilosio o amilopectina) ingeriti;
4. il contenuto di fibre e macronutrienti (carboidrati, proteine e lipidi) che compongono un pasto specifico;
5. il grado di lavorazione del granulo di amido;
6. il metodo ed il tempo di cottura.
Infatti l’idratazione ed il calore aumentano l’indice glicemico di un alimento. La carota, per esempio, ha un indice glicemico pari a 20 quando è cruda, ma, se bollita in acqua, il valore sale a 50 a causa della gelatinizzazione dell’amido, durante il quale le molecole di acqua dissolvono quelle di amilosio e penetrano nei granuli di amido, disorganizzando i cristalli di amilopectina e facendo gonfiare notevolmente i granuli stessi (fenomeno che osserviamo, ad esempio, quando cuociamo pasta o riso).
Il tipo di cottura da preferire, se possibile, è quindi quella cruda per le verdure, al dente per pasta e riso e le cotture brevi, ad esempio le cotture al vapore, al wok, stufate o al cartoccio, limitando ovviamente fritture e rosolature.
A cura della Dott.ssa Claudia Priante
Biologa Nutrizionista, esperta in Nutrizione Funzionale, Clinica e Sportiva
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